Come un navigante che si orienta e traccia rotte con la sua bussola, la mia pratica clinica scientifica e formativa ha cardini di percorso che possono intersecarsi tra loro: la relazione tra curanti e curati che umanizza la tecnica; la corporeità che accede al dialogo vitale e spirituale; la ricerca che usa lo sguardo focale e periferico; la relatività del sapere che porta all’umiltà.
La relazione di cura.
E’ necessario che i sanitari abbiano una formazione comunicativa relazionale già all’inizio della selezione universitaria e di seguito continuino la formazione umanistica senza mai perderla di vista. Essi devono essere consapevoli che il loro modo di porsi e la loro vitalità influisce sulla efficacia delle cure e sulla qualità dei contesti più o meno accoglienti o respingenti per i cittadini malati. I dati relazionali andrebbero introdotti nei protocolli di ricerca per conoscenza scientifica e per tenere sempre presente il codice etico di comunicazione e rispetto.
La corporeità
Avere un ottica funzionale biosistemica e considerare il corpo intero, invece dell’organo malato, è una apertura scientifica di grande efficacia terapeutica, ma tenere presente la corporeità intesa come un insieme di emozioni, pensieri, percezioni, relazioni aptiche – sia dei curati che dei curanti – è una apertura scientifica a cui si aggiunge calore affettivo e spiritualità. Il corpo dialoga inevitabilmente con gli altri corpi, comunica e trasferisce energie e vibrazioni, si muove con un suo ritmo di chiusura/apertura/rottura/coralità, configura gli spazi intorno a sè, si riconosce come entità somato-psichica e psico-energetica. Lavorare in corporeità vuol dire per i curanti entrare nel profondo della relazione, recuperare indizi sul dis-agio e intuire la strada giusta per curare con passione ai livelli corporei, energetici, spirituali.
La ricerca focale e periferica
La cura ha il suo valore individuale e relazionale e per questo è difficile omologare i dati e renderli veri nella ricerca. Lo sguardo focale, quello che evidenzia i dati microscopici segmentari e d’organo, va usato insieme allo sguardo periferico, quello che ci permette di avere visioni ampie per leggere il contesto, la spazialità degli intenti, la relazione di senso con se stessi ed il mondo.
La relatività del sapere
Il nostro bisogno di ricerca indica che abbiamo un sapere limitato. La consapevolezza della relatività del nostro sapere ci costringe all’umiltà: dà spazio all’ascolto e al rispetto delle scelte di chi si affida alle cure.
I miei cardini/credenze/convinzioni mi portano ad agire per :
- rendere obbligatoria la formazione umanistica dei sanitari.
- inserire la relazione tra i parametri di efficacia delle cure.
- riconoscere il momento intuitivo-relazionale –corporeo come dato scientifico .
- ridisegnare gli ambienti in cui si svolgono le pratiche di cura in modo da armonizzare le tecniche con le istanze umanistiche.