Il gesto mancante: lettura del disagio corporeo e indirizzo terapeutico nelle donne che ricevono una diagnosi di tumore al seno.

Gemma Martino

 

Anche se oggi l’attività educativa e informativa degli screening fa pensare e sperare ad una malattia controllabile e poco mutilante, la diagnosi di tumore al seno può segnare la corporeità delle donne  e creare nei curanti tentennamenti e posture difensive.

In campo psicologico sono molte le pubblicazioni che dissertano sulle stato emotivo delle donne quando ricevono la diagnosi di tumore al seno: paura, dolore, smarrimento, tensione, rabbia, tristezza, angoscia sono gli stati più elencati.

Meno frequentemente i lavori psicologi descrivono l’ imbarazzo corporeo dei medici “comunicatori” quando pensano di essere i portatori di una “cattiva notizia” e pronunciano  la parola “cancro”.  Limitanti  risultano le raccomandazioni di usare parole più soft senza sensibilizzare i curanti ad un approccio vivo ed energetico della propria corporeità.

Rara è l’analisi del processo comunicativo, vale a dire la descrizione di cosa avviene in termini dinamici e circolari nell’ambulatorio di senologia quando si comunica la diagnosi e quasi sempre è assente la documentazione dei canoni espressivi corporei che restano sullo sfondo spesso indicati come alterazioni generiche della mimica, della postura e dello sguardo.

L’attenzione alla relazione e alla corporeità, in noi incentivata fin dagli anni 90 da formatrici eccelse nell’analisi dei sistemi e nella comunicazione come Adriana Vita e Marilù Vinci e da Hubert Godard, maestro nell’agire il corpo e rivelarne i segreti profondi,  ci ha permesso di arricchire il campo dell’osservazione corporea e relazionale e di dare indicazioni più specifiche per risolvere il disagio delle donne nell’iter diagnostico e terapeutico oncologico.

Nelle donne che ricevono la diagnosi di tumore spesso si osserva una alterazione percettivo- motoria inconsapevole, intima, sottaciuta. Questa modificazione, che Godard poeticamente ha nominato un gesto mancante, consiste nella riduzione involontaria del movimento pendolare del braccio durante il cammino con conseguente incoordinazione gamba braccio.

Avviene in seguito al  trauma emozionale diagnostico, non sempre si accompagna allo stato emotivo non/espresso a parole quale lo  spaesamento, il dolore e la paura, mentre è prognostico di una chiusura attitudinale durante le terapie chirurgiche, radio e chemioterapiche e perdurante nel periodo del follow-up.

 Le ricerche di neurofisiologia emozionale e relazionale (Progetto CNR ACRO n. 92.02361 PS39 1992), condotte da Hubert nei trent’anni di nostro comune lavoro all’Istituto dei Tumori e poi in Metis, hanno sostanziato la nostra osservazione clinica del gesto mancante e ci hanno indicato la via di cura ottimale  per  fare  uscire -presto e bene – le donne dal proprio disagio.

 L’ alterazione senso – motoria dovuta al trauma emotivo ci permette di pensare ad una tendenza alla chiusura di queste donne che peraltro si accresce inevitabilmente a livello fisico a causa  degli interventi chirurgici/radio/chemioterapici con il rischio di osservare nei controlli dopo la malattia  l’impoverimento da parte della donna della registrazione degli stimoli esterni e il cambiamento attitudinale verso la chiusura.

La registrazione del corpo di un trauma emotivo – impercettibile ma significante come il gesto mancante – ci dice che la donna necessita di un lavoro di amplificazione del potenziale d’azione nello spazio,  della chinesfera, della apticità  (attività esploratrice del mondo agita dai sensi e dai muscoli) .

La corporeità è lo specchio del nostro disagio ed ha gesti immediati autentici involontari. E’ diversa dalla funzione del corpo. Questa è evidente anche in statica e segnala un attacco fisico al corpo dovuto al bisturi, alle radiazioni e ai farmaci tossici.

Dobbiamo dare valore ai segnali percettivi  – dinamici pudichi e segreti –   che il corpo invia e incentivare queste donne all’uso di strumenti e contesti che permettano l’aprirsi del corpo al mondo  con un gioco di repirazioni, di suoni, di movimenti fluidi autentici e simbolici, di spazi di silenzio e di ascolto, di tatto e di contatto, di energia e creatività.

Lo spaesameno dovuto al trauma emozionale troverà sollievo più rapido ed incisivo rispetto a tante parole consolatorie espresse nei luoghi di cura e ai tanti esercizi ginnici e motori indicati nei nostri manuali di informazione post-operatoria.  Ed eviterà la cronicizzazione dello stallo che porta alla chiusura e alla riduzione della vitalità e poi  alla depressione.

Per cambiare registro osservazionale e terapetico è fondamentale a nostro parere che i senologi,  i terapeuti e le donne si documentino sul test dinamico elettromiografico da noi ideato per  documentare il gesto mancante e realizzato grazie al sostegno del CNR .

 Questo test viene esposto in sintesi  nel lavoro che segue.

  

IL GESTO MANCANTE – TEST DINAMICO ELETTROMIOGRAFICO

Gemma Martino e Hubert Godard con Gabriella Galperti, Alberto Cola, Livia Bedodi, Raffaella Sensi, Paola Fossati.   Progetto CNR ACRO n. 92.02361 PS39 1992

 

Premessa

Il muscolo testato con EMG è stato il bicipite del braccio, muscolo flessore (un tempo definito tonico) e stabilizzatore, a prevalente attività gamma mediata, vale a dire influenzato dall’emozione. Il tricipite, muscolo estensore (un tempo definito a prevalente attività fasica) è stato esaminato come muscolo dell’azione e della forza.

Durante l’estensione dell’avambraccio il tricipite è l’agonista. Il bicipite diventa l’antagonista che dovrebbe restare elettricamente silente per lasciare al tricipite tutto il suo potenziale d’azione e la sua forza.

Se il bicipite, sensibile alle interferenze gamma mediate viene attivato durante l’azione, l’estensione risulta limitata e indebolita.

Il presupposto teorico è semplice. Durante un movimento, l’attività del muscolo che fa l’azione (agonista) dovrebbe essere supportata dal silenzio elettrico del muscolo antagonista, tonico sinergico.

 

I TEST

  1. Nel primo test con EMG era stato richiesto alle donne – sedute – di tenere il braccio in estensione con il dorso della mano appoggiata sulla spalla del medico. L’estensione doveva essere mantenuta anche quando l’esaminatore le contrastava cercando di provocarne la flessione: prova contro-resistenza.

Durante l’esame le donne erano impegnate a ostacolare la forza dell’esaminatore per ottenere una buona performance. Nella lotta a due il tricipite si stancava, seppure in modo diverso, in tutte le esaminate. L’EMG evidenziò una netta attività elettrica del bicipite antagonista nella massima estensione del braccio contro resistenza.

 

Il bicipite avrebbe dovuto restare silente. Questa attività può essere spiegata con l’incremento dell’attività elettrica del circuito gamma legato all’impegno emozionale dell’opporsi all’esaminatore. L’emozione influenza direttamente il nostro senso di direzione e provoca la tendenza a focalizzarci su una difficoltà o su un pericolo stimato.

Quando siamo presi dallo scopo di opporci, come in questo caso, perdiamo forza e direzionalità spaziale e tendiamo a contrarre i muscoli tonici stabilizzatori della nostra postura in modo eccessivo. L’attività tonica attraverso il circuito gamma viene esaltata e porta alla contrazione di muscoli che dovrebbero essere a riposo per rendere fluida l’azione.

 

  1. Nella seconda prova, le donne erano invitate a cambiare stato emotivo. Come nel primo test l’esaminatore tentava di flettere l’avambraccio, esteso con forza dalla persona seduta. Questa doveva pensare idealmente a un prolungamento del braccio nello spazio. “Immagini che le sue dita si allunghino fino a toccare la parete che ha di fronte”…Se l’immagine non era facilmente evocata dalle donne, si chiedeva loro di fare una progettazione spaziale visivo/cinestesica “Immagini che le sue dita emanino un fascio di luce” o “che vi sia dell’acqua che scorre dal braccio verso l’avambraccio e le dita”: prova di proiezione e progettazione spaziale.

La situazione, sia obiettiva che elettromiografica, cambiava drasticamente. L’esaminatore percepiva una resistenza “incontrastabile e invincibile”, 3-4 volte maggiore rispetto a quella riscontrata nel primo test, mentre all’EMG si osservava una netta riduzione del reclutamento dei potenziali di unità motoria nel bicipite fino al silenzio.

La relazione diventava a tre elementi: la persona era consapevole del suo progetto, si contrapponeva all’esaminatore ed era in relazione con l’ambiente circostante. L’azione si esprimeva in maniera efficace, senza l’involontaria attività gamma del bicipite antagonista conseguendo l’azione con minimo costo energetico ed emozionale.

 

Quando introduciamo gli elementi di progettualità, lo sforzo tonico-fasico si riduce. Specificatamente nella ricerca, la persona testata dimostrava di raggiungere lo scopo di opporsi con meno fatica all’esaminatore quando progettava di andare verso l’oggetto esterno. L’aggiunta di un terzo (in questo caso il contesto, lo spazio, l’oggetto immaginario) rende più fluida l’esperienza senso-motoria. Per contro la dualità del rapporto (“mi oppongo all’esaminatore, sono tutta dentro al compito”) carica di emozione l’azione, chiude al mondo ed indebolisce il fine. Così è per tutte le esperienze umane.

 

  1. Nella terza prova – come nei due test precedenti – l’esaminatore tentava ancora di flettere l’avambraccio esteso con forza dalla persona seduta. Questa progettava nello spazio, ma in questo spazio s’inseriva un ostacolo, una persona che camminava nella stanza, che disturbava la progettazione: prova di disturbo o di controllo.

All’EMG in tutte le persone si osservò la riattivazione nel bicipite nell’istante in cui vi era l’impedimento a progettare nello spazio a causa di un disturbo di presenza. Ciò conferma l’influenza della valutazione soggettiva dell’ambiente, della dimensione simbolica, dell’organizzazione delle forze in movimento, della presenza o meno dei grovigli emozionali.

 

CONCLUSIONI

Le donne il cui corpo segnava il trauma della diagnosi con un inconsapevole gesto mancante (ipo-pendolarismo) mostrarono una maggior attività elettrica del bicipite antagonista in tutte e tre le prove. Al primo test contro-resistenza palesavano maggior riduzione della forza e affaticamento nell’azione tricipitale.

Al test di proiezione spaziale queste donne mostravano una minor capacità di progettazione ed un maggior “aggrappamento” all’esaminatore.

Al test di disturbo la maggior localizzazione sull’ostacolo, portava alla perdita del senso del contesto, con inevitabili disturbi posturali e una inibizioni del sistema vestibolare.